'' Il riso è la debolezza, la corruzione, l’insipidità della nostra carne ''
afferma Jorge da Burgos, il più vecchio tra i monaci, il quale ha un'accezione
negativa dell'ilarità. Egli è disposto a tutto pur di celare il contenuto
dell'ultima copia esistente della Poietica di Aristotele, nella quale il
filosofo trattava positivamente la commedia. Egli riprende il concetto ''stultus
in risu exaltat vocem suam'', premettendo che ''il decimo grado
dell'umiltà è per quello in cui i monaci non sono sempre pronti a ridere''.
Jorge, sostenendo che il riso sia uno strumento per lo stolto di innalzare la
propria voce, sottolinea questo suo radicale pensiero contro l'ilarità,
condannandola ad un mezzo utilizzato dagli stupidi. Con il fine di evitare
definitamente la lettura di questo libro, egli avvelena le pagine dell'unico
manoscritto rimasto inerente l'apprezzamento del riso da parte del maestro di
Platone. In questo modo, chiunque cerchi di sfogliarle, morirà.
Essendo
un fervido cristiano legato indissolubilmente al contenuto della Bibbia, egli
sostiene che ''nulla delle sue parabole muove al riso'', riferendosi a Dio.
Jorge non contempla che gli uomini possano ridere di tutto, quindi anche di
Dio, poiché con il riso il timore tende a scomparire e la paura è ciò che
porta gli uomini a credere. Questa sua concezione si contrappone a quella di
Guglielmo, il quale sostiene che il riso caratterizzi gli esseri umani, essendo
un istinto primordiale che li contraddistingue sin dalla nascita. ''Il riso
è proprio dell' uomo, è segno della sua razionalità''.
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