domenica 15 maggio 2016

La contrapposta visione del riso

'' Il riso è la debolezza, la corruzione, linsipidità della nostra carne '' afferma Jorge da Burgos, il più vecchio tra i monaci, il quale ha un'accezione negativa dell'ilarità. Egli è disposto a tutto pur di celare il contenuto dell'ultima copia esistente della Poietica di Aristotele, nella quale il filosofo trattava positivamente la commedia. Egli riprende il concetto ''stultus in risu exaltat vocem suam'', premettendo che ''il decimo grado dell'umiltà è per quello in cui i monaci non sono sempre pronti a ridere''. Jorge, sostenendo che il riso sia uno strumento per lo stolto di innalzare la propria voce, sottolinea questo suo radicale pensiero contro l'ilarità, condannandola ad un mezzo utilizzato dagli stupidi. Con il fine di evitare definitamente la lettura di questo libro, egli avvelena le pagine dell'unico manoscritto rimasto inerente l'apprezzamento del riso da parte del maestro di Platone. In questo modo, chiunque cerchi di sfogliarle, morirà.
Essendo un fervido cristiano legato indissolubilmente al contenuto della Bibbia, egli sostiene che ''nulla delle sue parabole muove al riso'', riferendosi a Dio. Jorge non contempla che gli uomini possano ridere di tutto, quindi anche di Dio, poiché con il riso il timore  tende a scomparire e la paura è ciò che porta gli uomini a credere. Questa sua concezione si contrappone a quella di Guglielmo, il quale sostiene che il riso caratterizzi gli esseri umani, essendo un istinto primordiale che li contraddistingue sin dalla nascita. ''Il riso è proprio dell' uomo, è segno della sua razionalità''.

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